Comunicare secondo l’età al paziente che la sua identità non è definita esclusivamente da una diagnosi.
Garantire l’accesso ai gruppi di supporto.
La comunicazione genitori-figli: comunicare secondo l’età
Dire ai pazienti la verità riguardo alla loro anamnesi e alle loro condizioni contribuisce ad instaurare un rapporto di fiducia medico-paziente ma anche tra figlio/a e genitori. Inoltre, trasmette apertura (l’opposto del trattamento del silenzio), riduce il senso di isolamento e di vergogna. Per definizione, un trattamento centrato sul/la paziente non sussiste senza il presupposto della verità. Questa deve essere detta considerando il grado di maturità del bambino. È più probabile che la decisione di dire la verità funzioni se avviene all’interno di un rapporto di fiducia medico-paziente. In tali circostanze, i bambini si sentono più a loro agio nel fare e nel rispondere a domande.
Quindi è importante l’uso di termini semplici, chiari, espressi con serenità, adatti a ciascuna età, senza allarmarsi per le domande ripetute e per le emozioni vissute del/la figlio/a.
Le spiegazioni devono essere incentrate sullo sviluppo del bambino e sulle domande che vengono poste. La rivelazione completa dei dati medici deve avvenire al massimo entro i 16 anni di età, con il sostegno dei genitori e degli psicologi dell’équipe.
Quando, raggiunta la maggiore età, il paziente decide di ritirare la propria cartella clinica in ospedale, non deve trovarvi informazioni che non conosca già.
Tratto da “Linee guida cliniche per il Trattamento dei DSD in età infantile”, tradotto in italiano da AISIA
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